LA CAMPAGNA DI UNA VOLTA….
E’ vero, l’indulgere nostalgico verso quello che non c’è più spesso non tiene conto che mancavano tante cose un tempo di cui ora non potremmo fare a meno: le comodità, la possibilità di curarsi, il maggiore igiene, l’emancipazione delle donne, ecc.
Ma qui ci si vuole soffermare sul “buono” che abbiamo perso, sul contatto con l’ambiente che ci circonda e l’amore per le cose semplici e genuine. Sul piacere di fare le cose con tempo e di seguire i ritmi della natura. Sulla soddisfazione nel veder crescere ciò che si era seminato e che si attendeva con pazienza e speranza. L’attesa, la capacità di trarre piacere dal poco, la sobrietà, il rispetto per le generazioni passate, sono alcune tra le cose che dovremmo recuperare.
Era un mondo legato alle stagioni, dove le stagioni si vedevano anche nella minestra della sera, che cambiava sapore a seconda di quello che l’orto offriva. Ed era anche legato al sole, perché ci si alzava insieme ad esso e ci si ritirava in casa quando era tramontato. Era un mondo fatto anche di silenzi, dove nelle serate di inverno ci si annoiava davanti a un fuoco o si occupava il tempo a raccontarsi i fatti del giorno. In questo mondo il pane si cucinava in casa così come in casa si preparavano molte altre cose, e la merenda era fatta di pane e un poco di marmellata, se c’era (il pane era scuro ovviamente, perché la farina bianca era un lusso per i “signori”) , e donne e bambini stavano insieme in cucina, a preparare i dolci per i giorni di festa.
I panni si stendevano all’aperto, cullati dal vento e baciati dal sole, e sapevano di sapone pulito e di lavanda (quella vera, non quella dell’essenza aggiunta nei detersivi).
E l’uomo allora era circondato dalla pietra, dal legno, da materiali duri e eterni, e dalle buone e poche cose che la natura offriva.
Sabina Edir
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